Vulnerabilità sociali e sanitarie nelle classi a tenore di vita medio-basso: avere un tetto sulla te
I servizi di pubblica informazione ad oggi parlano sempre di più delle problematiche sociali relative i senza fissa dimora e i migranti, ma a mio avviso parlano poco delle condizioni dei nuovi poveri, ovvero quegli individui finiti su strada a causa dei più svariati motivi come la perdita del lavoro, della casa o per divorzi andati male.
I nuovi poveri su strada sono spesso soli e costretti a vivere in macchina o in giacigli di fortuna; un esempio è “Mario” (nome di fantasia), uno dei miei assistiti che vive con la sua famiglia dentro una roulotte vicino Corso Italia a Roma. “Mario” è l’esempio di un onesto cittadino benestante che nel giro di qualche anno ha perso tutto quello che aveva a causa della dipendenza dal gioco, più specificatamente a causa di una dipendenza dalle slot machine; con i soldi rimasti prima del fallimento è riuscito a comprare un piccola roulotte nella quale continua a vivere con sua moglie, le sue tre figlie e due cani, in attesa dell’assegnazione di una casa popolare da parte del comune.
Un altro fenomeno poco dibattuto è quello del barbonismo domestico, ovvero una tipologia di povertà che affligge soprattutto gli anziani della classe sociale medio bassa, e interessa prevalentemente coloro che vivono la loro marginalità isolati nella propria abitazione, in cattive condizioni igieniche e spesso con problemi di salute mentale.
Il clochard, vivendo per strada è in linea di massima sotto gli occhi di tutti ed ha più chance di ricevere assistenza rispetto l'anziano isolato in casa, benché quest’ultimo faccia parte di una realtà sociale da non prendere alla leggera, solo a Roma nel 2017 si sono registrati 400 casi di barbonismo domestico, per lo più anziani, tossicodipendenti e disagiati mentali.
Un punto poco dibattuto, ma sempre più nell’occhio del ciclone corrisponde all’impoverimento progressivo della classe media, con un conseguente incremento sempre più costante e preoccupante del divario ricchi-poveri.
Nel corso dei miei viaggi, mi sono trovato a operare come medico volontario per un brevissimo periodo anche in Senegal, più specificatamente a Dakar, e ho constatato sia una povertà estrema che zone ad altissimo tenore di vita, una assenza quasi completa della classe media, e un divario enorme ricchi-poveri. Questo è uno degli esempi, ma si possono citare tranquillamente anche città come Rio de Janeiro, ove palazzi a nove piani a pochi minuti dalle spiagge di Copa Cabana si trovano a pochi km dal degrado delle favelas. La scomparsa della classe media è ciò che più va a etichettare un paese come povero, e il progressivo impoverimento di questa classe appunto fa emergere delle vulnerabilità sociali, ma anche sanitarie.
Come spiegato accademicamente nei corsi da operatore sociale generico (OSG), l’essere umano è un’unità di tipo Bio-Psico-Sociale, e rifacendosi alla scala dei bisogni descritta da Abraham Maslow tra il 1943 e il 1954, una volta appagati i bisogni principali, ovvero quelli fisiologici come respirare, mangiare e dormire, vanno appagati quelli di sicurezza, che sia morale, fisica o lavorativa; successivamente i bisogni che devono essere soddisfatti sono quelli di appartenenza, di stima e di autorealizzazione.
Tutto questo per dire che spesso non è sufficiente un tetto sulla testa e un piatto pieno per non essere considerati vulnerabili, ma ci sono livelli di vulnerabilità, talvolta insidiosi, che possono minare la salute del soggetto.
Come volontario della Croce Rossa Italiana, per un periodo ho dato disponibilità a un servizio molto interessante, chiamato taxi sanitario, rivolto a persone appartenenti appunto a una classe sociale medio-bassa, aventi la necessità di essere accompagnate in strutture sanitarie come ASL oppure ospedali. Sono usualmente persone anziane o disabili, segnalati dai servizi sociali di zona poiché non hanno i mezzi per andare a farsi visitare in autonomia, poiché vivono soli, o non hanno il supporto di familiari, o per difficoltà logistiche.
Inutile ricordare quanto l’impoverimento progressivo impedisca a questo tipo di assistiti di utilizzare mezzi di locomozione privati per questo tipo di spostamenti, come appunto taxi o ambulanze private per il trasporto infermi.
Una caso che mi è stato portato in evidenza è quello della signora “Maria”, 83 anni, una persona sorridente, divertente, apparentemente piena di gioia di vivere, con quella pungente autoironia tipicamente romana che vive in una casa popolare in un quartiere alla periferia di Roma. La signora “Maria” nel 2016 ha tentato di togliersi la vita.
“Maria” è affetta da una forma di elefantiasi, una malattia che determina un accumulo di liquido linfatico a livello delle gambe con un anomalo accrescimento dei tessuti sottocutanei e secondariamente della pelle. Nei casi più gravi, come quello della signora “Maria”, la malattia può rappresentare un ostacolo ai movimenti, e in assenza di un supporto familiare adeguato, uscire di casa diventa impossibile, soprattutto se come appunto nel caso in questione, l’assistito vive all’ultimo piano, anche nono o decimo, in uno dei tanti palazzi popolari senza ascensore delle periferie romane. Questo è stato uno dei motivi, oltre al fatto di non avere marito ne figli, per i quali la signora “Maria” è segregata in casa da 20 anni, lontana non solo dal suo quartiere, ma anche dalle strutture che possono in un certo qual modo aiutarla sia dal punto di vista biologico, come ambulatori medici, ASL e ospedali, che psicosociale come i centri sociali, le piazze, e i luoghi di incontro.
La risposta a questo tipo di vulnerabilità e ai bisogni della popolazione anziana e disabile è da trovare nei piani di zona del comune, che in taluni casi prevedono la possibilità di un supporto negli spostamenti, al fine di sopperire alle necessità mediche e ridurre il rischio di peggiorare patologie cronico degenerative come diabete, cataratta, ipertensione e insufficienza venosa; patologie che possiamo etichettare come più frequenti negli anziani e che più di altre necessitano uno stretto follow up clinico.
L’assistenza domiciliare è un servizio compreso nei livelli essenziali di assistenza (LEA) ed è in grado di garantire una continuità nella risposta sul territorio ai bisogni di salute delle persone non autosufficienti, anziane o disabili, ai fini della gestione delle patologie croniche e delle disabilità. Le cure domiciliari sono erogate con modalità diverse in base all’organizzazione dei servizi territoriali della ASL; tuttavia, sono generalmente gestite e coordinate direttamente dal distretto sociosanitario (DSS) delle aziende sanitarie locali, in collaborazione con i comuni.
Per le prestazioni sociali il cittadino, oppure chi per lui deve fare riferimento al comune di residenza, e spesso è questo il punto dolente, ovvero nei casi di solitudine estrema, il soggetto non è in grado di provvedere autonomamente a questo tipo di richieste, ed è in taluni casi che un servizio di supporto volontario, che non necessita in questo caso di particolari qualifiche professionali, può essere utilizzato, ovviamente in accordo con i servizi sociali di zona.
AUTORE DELL’ARTICOLO: Dott. Marco Matteoli, medico chirurgo, specialista in diagnostica per immagini e medico volontario della Croce Rossa Italiana.
Email: marcomatteoli@email.it
Video: "Invisibili tra gli Invisibili", piccolo monologo sul problema delle persone sole a Roma
BIBLIOGRAFIA
4] Maslow, A.H. (1943). "A theory of human motivation". Psychological Review. 50 (4): 370–96. doi:10.1037/h0054346