I mali del mondo visti con gli occhi di un Clochard: una mattinata di studi presso "l'unive
“Cosa ca**o te ne fai di un aggeggio che ti da ogni risposta se non vedi neanche cosa ti succede sotto il naso? Se vuoi conoscere il mondo devi stare di più in mezzo alla strada e meno attaccato a quei cosi elettronici”. Con questa frase, “Astolfo” (nome di fantasia), uno dei miei assistiti mi ha “bonariamente ripreso” durante una delle nostre chiacchierate circa la capacità di reperire informazioni in questo periodo storico.
“Astolfo” è un clochard che vive in una delle zone centrali di Roma, un giramondo che ha lavorato per svariati anni come elettricista per la Marina Militare Italiana ed ha toccato nell’arco della sua vita numerosi continenti, tra i quali anche l’Oceania e più volte mi ha raccontato di quando ha lavorato in Libia e in Somalia, della quale ha molti ricordi meravigliosi.
Contrariamente a quanto si crede, non tutti i clochard hanno un background culturale misero, anzi, Astolfo, come altri che ho conosciuto, sono avidi lettori di libri (una volta ho conosciuto un assistito algerino di 60 anni con tre lauree), lui ne legge tranquillamente 4-5 a settimana, preferisce i romanzi gialli, ma non disdegna i saggi a carattere storico. Non dico baggianate quando affermo che probabilmente ha una cultura di gran lunga superiore alla media di molti laureati.
Con Astolfo abbiamo passato una mattinata, ho provato ad offrirgli la colazione, ma ha voluto a tutti i costi pagare lui, un caffè per me e un grappino per lui (da buon veneto, come dice sempre), ed abbiamo discusso a lungo su vari argomenti, oltre ad avermi segnalato degli assistiti ospedalizzati o che hanno necessità sanitarie (necessità che verranno prese in considerazione durante il prossimo giro), mi ha più volte “illuminato” circa quello che secondo lui è il peggiore dei mali che affligge l’umanità, ovvero “l’avidità”.
Essere avidi è desiderare in maniera incontrollata qualcosa e desiderarne sempre di più, la descrive come la fame insaziabile, che spesso ha come base la povertà di spirito, l’egoismo e l’insicurezza. Astolfo più volte mi ha raccontato di come nelle acque della Somalia svariati anni fa poteva prendere aragoste a mani nude, vedere coralli meravigliosi ed ammirare tartarughe giganti, e di come tutto questo è stato in parte raso al suolo dall'avanzare delle tecnologie che hanno permesso a multinazionali di appropriarsi di un quantitativo di materie prime eccessive rispetto la capacità rigenerative dell’ambiente, siano aragoste, coralli o uova di tartaruga, questa avidità ha, a detta sua deturpato un paradiso, impoverendo un terreno, che potrebbe sfamare tranquillamente tutti se sfruttato in maniera equilibrata, ma soprattutto rispettato.
L’avidità verso il possesso di materie prime o controlli territoriali sobilla guerre a vari livelli sociali e causa ulteriori carestie, in una sorta di danza macabra che a lungo andare può causare solo il crepuscolo della civiltà o la cancellazione della stessa; non a caso “Carestia” che in certi versi può anche essere inteso come “Avidità”, ovvero la fame insaziabile, è uno dei quattro cavalieri descritti nell’Apocalisse di S.Giovanni, assieme a “Pestilenza”, “Guerra” e “Morte”. Dante mette i golosi nel III cerchio, mentre gli avari e i prodighi nel IV e nel V cerchio dell’Inferno, descrivendo nel VII canto il loro contrappasso come un “eterno trascinare di massi” (Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa, e d’una parte e d’altra, con grand’urli, voltando pesi per forza di poppa), metafora del loro essere sormontati in vita da futili materie alle quali hanno dato la massima importanza.
Probabilmente non a caso la maggior parte delle religioni/filosofie del mondo indicano appunto l’avidità, intesa come attaccamento al mondo materiale, come la radice delle sofferenze umane, il cristianesimo la mette tra i peccati capitali (sia la gola che l’avarizia), uno dei 5 pilastri dell’Islam (il terzo pilastro) è la carità intesa come condivisione delle proprie ricchezze, il buddismo indica l’attaccamento al mondo materiale/piaceri come appunto la radice delle umane sofferenze, allo stesso modo l’illuminazione induista coincide con lo sradicamento totale di ogni concetto legato alla materialità terrena.
Dalla lezione di oggi appresa alla “università della strada” in fondo null’altro si evince che non ciò che viene detto in uno dei proverbi più vecchi del mondo ovvero “chi non ha gran voglie è ricco”, una lezione che in maniera genuina è stata trasmessa da un clochard, che ha scelto deliberatamente di vivere in mezzo alla strada, e che negli anni ha costruito attorno a lui una rete sociale che gli permette di vivere a detta sua “in maniera libera” seppure ai margini di quella che lui definisce “una società che riesce a vedere tutto e ovunque, ma che si perde le bellezze poste ai propri piedi”.