Petti di ferro e cuori irritabili: le vulnerabilità psicologiche dei militari
Un silenzio quasi assordante, ai limiti del tabù, è ciò che emerge quando si parla di suicidi o tentati suicidi tra i militari delle forze armate italiane, benché il 29 Luglio 2018, in sei mesi dall’inizio dell’anno, si sia suicidato il terzo militare attivo in operazione “strade sicure”.
Una figura granitica quella del militare, temprato nel corpo e nello spirito, capace di sacrifici enormi, di lealtà e in grado di resistere mesi e mesi lontano dai propri affetti; tuttavia parliamo di ragazzi in carne e ossa, che, volente o nolente prima o poi devono fare i conti con la loro natura umana.
Dipinti dal main stream come freddi e spesso spietati, sottoposti a duri e continui addestramenti per mantenere quell’operatività che permetta loro di affrontare situazioni spesso estreme in angoli sperduti della terra, o semplicemente di mantenere una posizione marziale per svariate ore sotto il sole.
In Italia le problematiche psicologiche e sociali correlate alla carriera militare sono molto poco analizzate e discusse, mentre la letteratura scientifica americana inquadra il fenomeno in maniera multidimensionale, ed arriva anche ad escludere che ritagliarsi una dimensione spirituale possa essere una strategia per diminuire il rischio di suicidio [i].
Le lesioni dell’anima
Fino ad anni recenti, la letteratura medica si è interessata esclusivamente degli effetti fisici della guerra sui combattenti, tuttavia le reazioni emotive e quelle che romanticamente vengono definite lesioni dell’anima sono profondamente rappresentate e lasciano segni pressoché indelebili [ii].
Il concetto di trauma psichico fu proposto da H.Oppenheim come nevrosi traumatica nel 1892 e da Kraepelin come nevrosi da spavento nel 1896, definendo una correlazione tra il trauma psichico e le sue ripercussioni organiche. Successivamente Simmel nel 1918 parlò di nevrosi da guerra, per poi definire lo stesso concetto nella sua più moderna concezione di disturbo post traumatico da stress, a partire dal DSM III [iii].
La diagnosi psichiatrica, secondo il DSMV (Tab. 11), definisce una persona che abbia vissuto, abbia assistito, o si sia confrontata con uno o più eventi che abbiano implicato morte, minaccia di morte, gravi lesioni o minacce all'integrità fisica propria o di altri, con una risposta della persona che abbia compreso paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore [iv].
Tab. 11- Sintomi del disturbo post traumatico da stress
Disturbi del sonno/ Incubi notturni.
Evitamento di cose che ricordano il vissuto traumatico;
Flashback;
Asocialità (allontanarsi dagli altri);
Anedonia (riduzione dell’interesse nelle proprie attività);
Anaffettività (Intorpidimento emozionale);
Irritabilità;
Ansia;
Disturbi della concentrazione;
Ipervigilanza.
Di fatto, il teatro di guerra è una realtà che pone il soggetto davanti a un carico emotivo di non facile gestione e che può influenzare il suo equilibrio psicologico. La guerra lascia inevitabilmente delle conseguenze nelle persone coinvolte, che siano civili o militari, ricchi o poveri; nella I guerra mondiale, i medici militari osservavano alcuni sintomi neurovegetativi nei soldati che erano stati esposti a lungo al fuoco nemico, tra i quali un’intensa, immotivata e improvvisa paura associata a sintomi di tipo cardio-respiratorio come dispnea, tachicardia e dolore toracico.
Questo quadro sintomatologico è stato denominato sindrome del cuore del soldato, o sindrome del cuore irritabile, descritto anche da Da Costa [v].
I soldati costantemente esposti a rumori da esplosione possono essere affetti da ciò che viene definita demenza stuporosa, una sorta di paralisi delle emozioni; tale patologia, non dissimile da quella provata dai prigionieri nei campi di concentramento, può causare apatia, indifferenza e abulia a fronte degli stimoli e delle percosse ricevute [vi], un’insensibilità necessaria quando il dolore emotivo diventa troppo forte e costante.
‹‹Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò, andò ad aprire e non c’era nessuno.››
Johan Wolfgang Von Goethe
Ovviamente un discorso a parte meritano i soldati sottoposti a tortura nei teatri operativi [vii], la quale, nonostante sia assolutamente vietata da numerose convenzioni internazionali, prima tra tutte la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stata tuttavia denunciata in oltre cento paesi. Il trattamento riabilitativo dei soggetti sottoposti a torture è complesso e richiede tempo, poiché sono necessarie visite e trattamenti sanitari come medicazioni, interventi chirurgici o farmacologici, trattamenti psicologici, gruppi di auto-aiuto, psicoterapia a orientamento etnopsichiatrico e terapie di tipo psicosomatico da parte di un’equipe ben addestrata [viii].
AUTORE DELL’ARTICOLO: Dott. Marco Matteoli, ufficiale medico del Corpo Militare della Croce Rossa, specialista in Diagnostica per Immagini e medico volontario della Croce Rossa Italiana. Attualmente studente di Cooperazione Internazionale e Sviluppo presso l’Università di Roma “Sapienza”.
[i] Ames, D., Erickson, Z., Youssef, N., Arnold, I., Adamson, C., Sones, A., Yin, J., Haynes, K., Volk, F., Teng, E., Oliver, J. and Koenig, H. (2018). Moral Injury, Religiosity, and Suicide Risk in U.S. Veterans and Active Duty Military with PTSD Symptoms. Military Medicine.
[ii] Girmenia, E. (2013). Il complesso di Abramo. Roma: Armando.
[iii] Frueh, B. (2013). Disturbo post traumatico da stress. Milano: Ferrari Sinibaldi.
[iv] Phillips, K., First, M. and Pincus, H. (2003). Advancing DSM. Washington, D.C.: American Psychiatric Association.
[v] Da Costa, J. (1871). Art. I. On Irritable Heart; a Clinical Study of a Form of Functional Cardiac Disorder and its Consequences. The American Journal of the Medical Sciences, 121(1), pp.2-52.
[vi] Frankl, V. (1998). Uno psicologo nei lager. Milano: Ares.
[vii] Amnesty International. (2000). Non sopportiamo la tortura. Libri Illustrati Rizzoli.
[viii] Morrone, A. (2008). Oltre la tortura. Roma: Magi.
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