UN-SOCIAL NETWORKS: dalla disgregazione sociale firmata web 2.0 alle relazioni "usa e getta&quo
Più di ogni altro periodo storico, quello che stiamo vivendo appare ossessionato dalla libertà di espressione, dalla comunicazione, dai mezzi di comunicazione e dall’idea di “social”.
Il “Social”, nell’accezione di “social network”, dovrebbe racchiudere nella sua parola sia il concetto di “sociale” che di “lavoro in rete” (network), dunque un mezzo per unire e aiutare un processo di socializzazione tra le persone. Ultime ricerche hanno confermato ciò che è sulla bocca di tutti da molto tempo, ovvero che un abuso di social network porti a un lento isolamento sociale [1].
Non a caso, uno studio pubblicato nel 2017 su "International journal of preventive medicine" [2] ha rivelato che chi trascorre oltre due ore al giorno su piattaforme come Facebook ha il doppio delle probabilità di sentirsi isolato dagli altri nella vita reale.
La distribuzione del social network nel mondo. Dal sito della rivista italiana di geopolitica
Il fenomeno social network è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno sociale molto più ampio, ovvero un progressivo isolamento delle persone, specie se intercalate in un tessuto sociale complesso come può essere una grande città o una metropoli. Nel “deserto sovraffollato” delle nostre città [3], l’aumento della quantità di “individui” non porta a una facilità nella socializzazione tra di essi, ma anzi, a un aumento della dispersione e della sensazione di solitudine (nel senso inglese di loneliness del termine). Un fenomeno non solo influenzato dall’aumentare del numero delle persone presenti in una struttura sociale, ma anche e soprattutto da un nemico ben più temibile, ovvero la velocità.
Nel libro “elogio della lentezza” [4], e successivamente nel libro “elogio della ribellione” [5], il prof. Lamberto Maffei identifica l’eccessiva quantità di informazioni e l’eccessiva rapidità nella loro assunzione, come meccanismo antitetico rispetto il processo di apprendimento: tanto maggiore sarà il numero di stimoli esterni e tanto meno il nostro cervello sarà in grado di elaborarli, organizzarli e soprattutto comprenderli in maniera soddisfacente.
La rapidità guarda caso è diventata il MUST della società attuale, una società che muta a ritmo serrato non solo nei suoi aspetti materiali, come la tecnologia, la moda o la comunicazione, ma anche nei suoi aspetti non materiali, dalla morale collettiva ai valori culturali [6] . I PC, gli smartphone, le automobili, come i farmaci o le tecniche chirurgiche e diagnostiche sono in costante e rapido mutamento, un mutamento spesso difficile da cogliere e ancora più spesso, comprendere. Fenomeno fin troppo spesso foriero di quella insicurezza caratterizzante ciò che è stata definita la “modernità liquida” [7] .
L’accelerazione dei ritmi della vita sociale, il dominio del breve termine e della tanto temuta deadline rimuovono la capacità dell’individuo di orientarsi verso un vero “lungo termine”. Tale mentalità, che possiamo in maniera pop considerare dell’usa e getta, non solo riduce la capacità di conservare per un lungo periodo di tempo degli oggetti materiali “obsoleti”, ma si riflette anche nel considerare lo stesso individuo umano come “usa e getta” e cagionevole di obsolescenza, non solo nei rapporti lavorativi, ma anche, peggio, in quelli umani.
“Un-social network”. Foto Scattata a Roma nel 2014
Nell’evoluzione delle società, si considera come fisiologico, un passaggio di rapporti tra persone, dall’essere incentrati su una solidarietà di tipo meccanico [8], tipica delle tribù e delle comunità piccole, ove vigono rapporti di tipo amichevole/parenterale, verso ciò che i sociologi definiscono di solidarietà di tipo organico, ove i rapporti non si basano sulle persone nella loro complessità, ma sui ruoli che tali persone rivestono all’interno della società; il medico in questo modo non sarà più la classica figura paternale dispensatrice di cure e amorevoli consigli, ma diventerà una figura professionale freddamente dispensatrice di diagnosi e terapie sempre più efficienti, a un numero sempre più elevato ed esigente di utenti.
In una società che evolve in forme di solidarietà organica, il termine “persona” viene sempre più sostituito con il termine “individuo”. Come dice Zygmunt Bauman nel libro “individualmente insieme” [9], l’individualizzazione è un destino, non una scelta; nella terra della libertà individuale di scelta, la libertà comporta non solo la capacità di autoaffermarsi, ma anche le responsabilità individuali che tale capacità porta con se [10].
Coloro che si ammalano, non sono stati sufficientemente solerti nel seguire un regime di vita salutare, o peggio, come promulgano i moderni guru del “think positive” o della “legge di attrazione”, poiché non sono riusciti ad avere un numero sufficienti di pensieri orientati allo “star sani”, conferendo ai pensieri individuali un potere quasi divino.
Allo stesso modo coloro che sono disoccupati sono colpevoli di non aver acquisito le competenze necessarie per superare un colloquio di lavoro o di non essere riusciti a stare al passo con le regole del business, in una società sempre più esigente e sempre meno tollerante all’errore umano. Tutto si orienta al potere e alla responsabilità individuale, senza contare che il pianeta consta di 7,6 miliardi di individui.
George Orwell, nel suo libro “1984” [11] ci parlava di un mondo futuro che avrebbe incarnato i suoi demoni non solo nel totalitarimo, ma anche nella burocrazia, nella censura, nel conformismo e nella società di massa, e mai come ora, leggere 1984 ci da un non so che senso di dejavu.
Dopo gli anni 20, il passaggio da una società di produttori a una società di consumatori non ha solo reso le persone libere di scegliere cosa consumare, ma ha reso gli individui stessi una merce da consumare. In una battaglia senza fine per adeguarsi a standard sempre più alti e complessi, individui sempre più impauriti di non sentirsi adeguati, non sentirsi abbastanza in gamba, non abbastanza belli, non abbastanza “liberi pensatori”, non abbastanza “cool”. Desideri sempre più instabili e bisogni sempre più insaziabili rendono i consumatori sempre più orientati all’immediatezza e all’abbandono dell’oggetto consumato. Come direbbe il prof. Maffei, un'anoressia di valori associata a una bulimia di consumi [5].
Il sociologo Georg Simmel, nel libro “le metropoli e la vita dello spirito” [12], stressa il principio attraverso il quale nella società dei consumatori, tutto assume un prezzo, ma tutto perde di valore e <<il tutto galleggia con le stesso peso specifico nell’inarrestabile corrente del denaro>>. Se tutto può essere acquistato, allora anche la vita, la morte, la salute, la sicurezza, l’amicizia e l’amore diventano, siffattamente, oggetti monetizzabili.
In questo contesto, il paziente e il medico non si trovano più in un rapporto normato da un contratto di tipo fiduciario, ma da un vero contratto lavorativo con l’obbligo del risultato, l’assistito passa dall’essere un “paziente”, all’essere un “esigente”.
Un mondo oramai sempre più orientato verso “l’individualizzazione” e “l’autoesaltazione”, la solitudine, che la società odierna ci prospetta, cerca sempre più la sua esorcizzazione in momenti aggregativi, che il sociologo Durkheim definirebbe di “effervescenza collettiva”: ovvero dei momenti di aggregazione nei quali sperimentare un “momento sovra-ordinario”.
Tali eventi sono sempre più identificabili oggigiorno nel “trovare il nemico e urlare il proprio odio”; un nemico comune offre la rara opportunità di odiare davvero qualcuno e gridare il proprio odio in pubblico senza rischiare assolutamente nulla, una catarsi attraverso la quale uscire dal proprio isolamento sperimentando un non comune senso di appartenenza.
I nemici di oggigiorno sono molteplici e facilmente evidenziabili scrollando la propria pagina Facebook: un personaggio o un partito politico, i migranti o le minoranze etniche, i colossi come big pharma o le lobby bancarie, i massoni o gli illuminati, fino ad arrivare ai rettiliani, agli angeli caduti o a divinità più o meno condivise; trovare un nemico comune e urlare il proprio odio in una cerchia reale o virtuale è diventata una efficace catarsi per sfuggire a una solitudine globale sempre più incalzante.
Mai come ora vediamo sempre meno persone e sempre più individui, che intrecciano le loro vite all’interno di una società che nell’evolversi conferisce un prezzo a ciò che prezzo non ha e cerca di controllare ciò che dall’alba dei tempi sfugge al controllo.
Come scrive il sociologo Norbert Elias nella "solitudine del morente" [13] <<Mai come oggi gli uomini sono morti così silenziosamente e igienicamente, e mai sono stati così soli.>>
A spezzare una lancia a favore dell’andamento sempre più “virtuale” della socializzazione è il sociologo canadese Barry Wellman [14] , che non vede negativamente questo tipo di socializzazione, ma definisce semplicemente un cambiamento nelle modalità nella quale essa si attua.
Nei primi anni ’90 era palpabile una divisione netta tra il mondo “online”, della realtà virtuale connessa ad internet e la realtà “offline”; il progredire delle tecnologie, come dice Wellman, ha ridotto il divario tra questi due mondi, la società in questo modo sta perdendo i suoi tradizionali limiti fisici e si va via via concependo il “networked individualism”, ovvero relazioni tra individui non circoscritti in un luogo fisico, ma connessi nonostante gli impedimenti intrinseci dei luoghi fisici.
La rete, non è solo altamente complessa, ma riproduce la complessità della realtà sociale ed in questo senso dà vita a una duplicazione virtuale della società.
Al contrario della società “offline”, quella “online” è inclusiva e prescinde da limitazioni di carattere economico, tecnico o culturale, l’accesso è consentito a chiunque e in linea di principio, non ci sono direzioni predefinite della comunicazione.
Come per ogni cambiamento, dove il nuovo integra o rimpiazza il vecchio, anche i nuovi modelli di socializzazione stanno lentamente soppiantando i vecchi, e secondo Wellman la visione “reticolare” della socializzazione presto o tardi ridurrà sempre di più la differenza tra la realtà online e quella offline: le attività online diventeranno sempre più parte della vita quotidiana delle persone e i profili sui social media faranno sempre più parte dell’identità complessiva delle persone.
Spero di aver lanciato qualche spunto di riflessione, per allontanare il demone della solitudine sei più a favore della socializzazione in senso tradizionale o per te i nuovi modelli si socializzazione sono più funzionali in questo mondo così mutevole? Se hai dei commenti, ti prego di postarli nel box a fine documento o mandarmi una mail.
AUTORE DELL’ARTICOLO: Dott. Marco Matteoli, ufficiale medico del Corpo Militare della Croce Rossa, specialista in Diagnostica per Immagini e medico volontario della Croce Rossa Italiana. Attualmente studente di Cooperazione Internazionale e Sviluppo presso l’Università di Roma “Sapienza”.
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BIBLIOGRAFIA
[1] D'Alessandro, D. (2017). "E' vero, i social possono far male". Prima (parziale) ammissione di Facebook. [online] Repubblica.it. Available at: http://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2017/12/16/news/facebook_si_difende_non_e_vero_che_portiamo_all_isolamento_-184315826/
[2] Primack, B., Shensa, A., Sidani, J., Whaite, E., Lin, L., Rosen, D., Colditz, J., Radovic, A. and Miller, E. (2017). Social Media Use and Perceived Social Isolation Among Young Adults in the U.S. American Journal of Preventive Medicine, 53(1), pp.1-8.
[3] Bauman, Z. and Leccardi, C. (2008). Individualmente insieme. Reggio Emilia: Diabasis.
[4] Maffei, L. (2014). Elogio della lentezza. Bologna: Il mulino.
[5] Maffei, L. (2016). Elogio della ribellione. Bologna: Il mulino.
[6] Smelser, N. (2011). Manuale di sociologia. Bologna: Il mulino.
[7] Bauman, Z. and Minucci, S. (2016). Modernità liquida. Roma: Laterza.
[8] Bonolis, M. (2007). Storicità e storia della sociologia. Milano: F. Angeli.
[9] Bauman, Z. and Leccardi, C. (2008). Individualmente insieme. Reggio Emilia: Diabasis.
[10] Bauman, Z. and Dal Lago, A. (2000). La solitudine del cittadino globale. Milano: Feltrinelli.
[11] Orwell, G. and Harris, R. (2016). 1984. Milano: Mondadori.
[12] Simmel, G. and Wolff, K. (2012). The sociology of Georg Simmel.
[13] Elias, N., Elias, N. and Elias, N. (2011). La solitudine del morente. Bologna: Il Mulino.
[14] Rainie, H. and Wellman, B. (2014). Networked. Cambridge: MIT Press.