Il fenomeno dei BAMBINI SOLDATO e gli effetti psicopatologici dei conflitti moderni
Secondo stime degli Organismi internazionali accreditati per la tutela della salute dell’infanzia, si calcola che vi siano attualmente circa 300.000 minori impiegati nei conflitti mondiali. La maggior parte di loro ha un’età che oscilla tra i 15 ed i 18 anni, ma sono stati segnalati anche bambini di 10 anni, ed anche meno.
Il continente più interessato dal fenomeno è l’Africa, con la presenza di circa 120.000 minori impegnati direttamente in operazioni militari. Ma il problema è ugualmente presente in Asia, in America latina, in Medio Oriente e nei paesi dell’Europa Orientale. Numerosi i Paesi chiamati in causa: Afghanistan, Cambogia, Colombia, Congo, Mozambico, Etiopia, Sri Lanka, Turchia, Uganda, Sudan, ecc.. Anche il “civile” Occidente non sembra sfuggire a questa triste consuetudine dal momento che in alcuni Paesi come il Canada, l’Australia e la Gran Bretagna è previsto l’arruolamento di minori di 18 anni.
In moltissimi casi i minori non si arruolano volontariamente ma sono costretti con la forza dopo essere stati rapiti. Il fenomeno è particolarmente sentito in paesi come il Myanmar ( ex Birmania), la Colombia, il Mozambico, la Liberia, e l’Uganda. In quest’ultimo paese opera il tristemente famoso Esercito di Liberazione del Signore, una milizia anti-governativa che pratica diffusamente il rapimento di minori e il loro successivo indottrinamento per farne piccoli e spietati soldati.
L’unica politica di contrasto ai rapimenti attualmente consiste nel portare, sul far della sera, gli adolescenti dai villaggi alle città più grandi perché possano essere al sicuro dalle incursioni notturne della guerriglia.
Le organizzazioni internazionali come Amnesty International e l’UNICEF hanno documentato il loro utilizzo sia nei combattimenti che nelle mansioni di portatori di munizioni e vettovaglie.
Ben più triste il destino di molte bambine che vengono avviate precocemente alla prostituzione e soggette allo stupro e a violenze sessuali. Si calcola che nella sola Etiopia le ragazze costruiscano il 30 per cento delle forze armate che si oppongono al governo centrale. Le ragazze, rapite e utilizzate come “schiave del sesso”, hanno altissime probabilità di contrarre l’AIDS e altre malattie veneree. Il loro reinserimento in programmi di recupero è alquanto difficile perché le famiglie di origine tendono a respingerle per il discredito che produce la loro condizione di ex prostitute.
Il fenomeno dei bambini soldato ha origini alquanto complesse e non è nuovo nella storia dell’umanità. Negli eserciti napoleonici erano costantemente presenti in prima linea i tamburini, di solito bambini orfani o abbandonati che venivano reclutati con mansioni servili (“enfants perdus”). Ma è in epoca medioevale che si registra il fenomeno più clamoroso.
Nel 1212 l’Europa fu percorsa da quella che gli storici hanno definito la “Crociata dei bambini”, una spedizione militare diretta (e mai giunta) in Terrasanta con lo scopo di liberare il Santo Sepolcro. Guidata da un pastorello di Cloies, in Francia, riuscì a radunare un gran numero di bambini che, sull’onda di un particolare clima di esaltazione religiosa, abbandonavano le proprie case per affrontare un’esperienza particolarmente pericolosa. Le cronache dell’epoca riferiscono che non solo non raggiunsero l’obiettivo di giungere in Palestina , ma che ben pochi sopravvissero agli stenti e alla fame.
La presenza di bambini soldato è segnalata oggi sia negli eserciti regolari che nei movimenti di guerriglia e nelle milizie impegnate nelle numerose guerre a sfondo etnico e religioso che insanguinano il mondo.
Ricordiamo che La Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia proibisce esplicitamente l’arruolamento per tutti i minori di 15 anni. L’impiego di minori di 15 anni nei conflitti armati è stato incluso nei crimini di guerra su cui ha giurisdizione il Tribunale penale Internazionale. Il 12 Febbraio 2002 è entrato in vigore il Protocollo opzionale alla Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia che fissa a 18 anni l’età minima per partecipare ad azioni belliche o per essere reclutati nell’esercito.
In certi casi è addirittura difficile conoscere l’età esatta del combattente. In molti Paesi, a causa del crollo delle strutture civili, manca un registro anagrafico ed è difficile conoscere l’età esatta del minore. Attualmente si calcola che circa 50 milioni di persone, in prevalenza bambini, non siano mai stati registrati alla nascita presso alcun registro anagrafico.
Il bacino di reclutamento dei bambini soldato è quanto mai ampio. Basti pensare che al momento attuale viene segnalata la presenza nel mondo di circa 100 milioni di “ragazzi di strada”, minori che non hanno una abitazione stabile, una famiglia che li accudisca e che vivono in precarie condizioni nutrizionali e di salute. In paesi endemicamente in guerra la presenza di un alto numero di profughi e rifugiati favorisce il fenomeno dal momento che le stese famiglie in difficoltà favoriscono il reclutamento dei propri figli minori in cambio di un minimo reddito che consenta la sopravvivenza. In altri casi la precoce esposizione a violenze subite facilita l’arruolamento per un naturale desiderio di protezione che spinge il minore a trovare sicurezza tra altri coetanei armati che sono una pur minima garanzia contro ulteriori soprusi.
I bambini soldato costano poco, sono controllabili e manipolabili, data l’età, e sono inoltre facilmente rimpiazzabili.
L’uso delle armi leggere in dotazione alla maggior parte degli eserciti locali è alla loro portata, data la facilità di impiego e di trasporto e il loro basso costo. Amnesty International stima che il 90% dei conflitti attualmente in corso nel continente africano sia condotto con l’uso di armi leggere e veda la presenza costante sul terreno dei bambini soldato. Ricordiamo che secondo le Nazioni Unite attualmente ci sono in circolazione nel mondo circa 500 milioni di armi leggere, non tutte in mano ad eserciti regolari.
Al giorno d’oggi si calcola che non abbiano accesso all’istruzione di base circa 115 milioni di bambini, perlopiù viventi in regioni emarginate e con presenza di conflitti armati. L’evasione o il precoce abbandono scolastico favorisce il fenomeno dei “bambini di strada” che, spesso, per sopravvivere diventano piccoli soldati. In Pakistan circa 7,8 milioni di bambini non va a scuola, in Nigeria 7,6 milioni di minori sono totalmente esclusi dal sistema scolastico e in Etiopia tale cifre si aggira sui 6 milioni. A questo triste primato c’è da aggiungere il Congo con 5,3 milioni di bambini che non frequenta la scuola di base ed il Sudan con 2,4 milioni. Nel 1997 circa 5000 ragazzi di strada si sono arruolati nell’esercito della Rep. Dem. del Congo rispondendo ad un appello ad arruolarsi lanciato dalla radio locale. In Colombia si calcola vi siano circa 14000 bambini soldato appartenenti sia alle forze dell’opposizione che tra i gruppi paramilitari fedeli all’attuale governo di Bogotà. In entrambi i campi sono stati segnalati numerosi abusi ai danni dei minori e la pratica dell’esecuzione sommaria a scopo intimidatorio per evitare diserzioni.
Nella Sierra Leone il 30% delle forze in campo nel tragico periodo della guerra civile era composto da minori di 15 anni.
Nello Sri Lanka gli esponenti delle Tigri Tamil sono stati accusati di indottrinare e preparare molti minori ad azioni suicide facendosi esplodere come bombe umane.
Attualmente sono trenta i Paesi in guerra in tutto il mondo. In venticinque di questi è stata segnalata la partecipazione di bambini dai 10 ai 16 anni.
Secondo recenti stime degli organismi internazionali che operano sul campo si calcola che i conflitti armati abbiano provocato negli ultimi 10 anni la morte di circa 2 milioni di minori. Circa 5 milioni sono stati mutilati in seguito a ferite da arma da fuoco o per l’esplosione di ordigni bellici. A tutto ciò è da aggiungere che 12 milioni sono rimasti privi di un tetto ed oltre un milione è rimasto orfano o separato dai genitori Circa 10 milioni hanno subito traumi psichici derivanti dalla precoce esposizione a violenze o per aver assistito a scene raccapriccianti. Una minoranza di essi ha ricevuto le cure adeguate.
“Campi di battaglia” foto scattata dal Dott. Marco Matteoli a Herat, Afghanistan nel 2015
E veniamo, dopo questa necessaria presentazione di un fenomeno ancora poco conosciuto dall’opinione pubblica, al tema che più direttamente ci interessa: gli effetti psicopatologici dei moderni conflitti sui bambini.
Tutti i bambini soldato sono portatori delle stimmate della sofferenza psichica. Questa condizione li accompagna generalmente per il resto dell’esistenza e pregiudica in modo sostanziale qualsiasi programma di recupero. La loro condizione di disagio psichico non è ancora ben conosciuta in tutte le sue implicazioni cliniche e terapeutiche a causa della difficoltà di un approccio con specialisti della materia che possano essere impiegati su larga scala nelle aree geografiche sede del fenomeno.
La prima osservazione che possiamo fare è che l’esposizione in età precoce a violenze, soprusi, uccisioni, stupri, ecc.., già di per sé costituisce una ferita difficilmente rimarginabile. Vengono scosse le fondamenta dell’essere bambino.
Le violenze psicologiche inflitte ai minori che vengono avviati all’addestramento come soldati hanno una particolare finalità: preparare il bambino a diventare capace di azioni efferate, coinvolgendolo in una condizione da cui non si può tornare indietro con la fuga e l’abbandono del nuovo gruppo di appartenenza. I rituali di ingresso nel nuovo gruppo assomigliano molto a quelli praticati da gruppi mafiosi o della criminalità organizzata che intendono vincolare i nuovi affiliati con un sistema di suggestione psichica che implichi obbedienza assoluta ai capi e agli ordini che si ricevono.
In molti casi, in particolare in Uganda, nel fantomatico Esercito di Liberazione del Signore, ed in Perù, nel movimento di guerriglia Sendero Luminoso, è stata segnalata la diffusa pratica della partecipazione forzata ad un’azione violenta cui viene costretto il bambino, come l’uccisione di un altro minore colpevole di tentata fuga o di disobbedienza. In altri casi la vittima designata è un familiare. In questo modo si intende far superare il tabù dell’omicidio, preparando il piccolo soldato ad essere insensibile al dolore altrui. Inoltre, la creazione di un senso di colpa per l’uccisione di un altro essere umano lo lega psicologicamente al gruppo e previene la tentazione dell’abbandono delle armi. Il gruppo di appartenenza rappresenta per il minore l’unica sicurezza in termini psicologici perché in un gruppo di “pari” può ricevere sostegno e solidarietà.
In Africa è molto sentito il tema della persecuzione dello “spirito” della persona uccisa che chiede conto della sua sorte all’uccisore. Molti bambini soldato sono perseguitati da incubi ricorrenti in cui l’anima dell’ucciso si presenta nei sogni. Questa concezione della persecuzione dallo spirito maligno dell’ucciso pregiudica il possibile ritorno a casa del minore perché i familiari temono il suo ingresso nell’abitazione e tendono perciò a scacciare il piccolo che porterebbe loro dei guai.
Le osservazioni fatte da specialisti confermano, nel caso dei minori, una amplificazione di quello che viene chiamato “disturbo post-traumatico da stress” Nel DSM-IV la diagnosi di PTSD si pone quando una persona, esposta ad eventi traumatici, sviluppa sintomi duraturi intrusivi, di evitamento e di iperattivazione.
La sindrome può causare effetti e reazioni a vari livelli.
Ripercorriamo sinteticamente il quadro clinico di questo disturbo:
1) Reazioni fisiche: nausea, problemi gastro-intestinali, tremori muscolari, aumento del ritmo respiratorio e della pressione sanguigna, alternanza di iperattività e spossatezza, disturbi del sonno, alimentari e sessuali;
2) Sintomi psichici: senso di colpa, rabbia, oscillazioni dell’umore, repressione dei sentimenti, angoscia, paura, perdita dell’autostima, depressione;
3) Reazioni cognitive: consistono in disorientamento, incapacità a concentrarsi, incapacità di giudizio, difficoltà di memoria, amnesia.
Nell’evento traumatico sono presenti entrambe queste caratteristiche:
– o la persona ha vissuto, assistito, o si è confrontata con un evento che ha implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri;
– o la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore.
Il soggetto giovane rivive persistentemente l’evento in uno, o più, dei seguenti modi:
1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento che comprendono immagini, pensieri, o percezioni;
2) sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento.
In molti casi viene segnalata la presenza di un franco delirio, agendo o sentendo come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, episodi dissociativi di flashback).
L’evento depressivo è molto frequente tra i bambini sottoposti a prove particolarmente severe, come è il caso dell’esposizione a violenze ed uccisioni.
I principali sintomi depressivi possono essere così riassunti:
• riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative;
• sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri;
affettività ridotta (es. incapacità di provare sentimenti di amore,
affetto…);
• sentimenti di diminuzione delle prospettive future
L’evitamento è una delle strategie messe in campo dal minore per distanziarsi dalla condizione traumatica. Si rivela una strategia sempre imperfetta.
Si verifica un evitamento persistente agli stimoli associati con il trauma e vi è un'attenuazione della reattività generale con:
– 1. sforzi per evitare pensieri, sensazioni, o conversazioni associate al trauma;
– 2. sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;
– 3. incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma;
Il grande quadro della somatizzazione assume aspetti quanto mai vari e che possono essere così sintetizzati:
• 1. difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
• 2. irritabilità o scoppi di collera;
• 3. difficoltà a concentrarsi;
• 4. ipervigilanza;
• 5. esagerate risposte di allarme.
Questo sintetico quadro dei principali aspetti psicopatologici del fenomeno ci fanno già capire quanto sia difficile operare per un recupero dei minori soldato.
A titolo di esempio valga quanto già detto a proposito del rifiuto che spesso la stessa famiglia di origine esprime di fronte alla prospettiva di un loro rientro nel nucleo domestico. Anche il loro recupero scolastico è reso quanto mai problematico dal timore che il loro inserimento nelle classi possa contribuire a creare un clima di violenza e soprusi ai danni degli altri studenti.
I bambini e gli adolescenti che sono stati esposti a lungo ad atti di violenza perdono la fiducia negli adulti che avrebbero dovuto garantire loro sicurezza e protezione (questo fenomeno fu già osservato nei minori sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti). Questa ferita difficilmente potrà essere sanata.
In molti programmi di recupero si tende a non separare i minori che hanno fatto parte dello stesso gruppo in modo che non si interrompano i legami di solidarietà che hanno sostenuto la loro esperienza. Il gruppo dei “pari” appare l’unica sicurezza umana di fronte al rifiuto che spesso circonda questi bambini all’indomani della smobilitazione.
A tutto questo quadro è da aggiungere che le condizioni psichiche dei minori che sono stati arruolati come soldati sono peggiorate dalla concomitanza di altri fattori di rischio per la salute.
Una piaga molto diffusa è l’uso di sostanza stupefacenti che vengono fornite per stordirli o per eccitarli in occasione del combattimento. Oltre all’uso di hashish, cocaina e anfetamine, è stato segnalato il diffuso consumo della polvere da sparo come sostanza eccitante. Anche l’abuso di alcool viene indicato come uno dei fattori che concorre al decadimento della salute dei minori. In molti casi, lì dove non riescono a procurarsi di meglio, persiste la pratica dell’inalazione di sostanze tossiche come le colle a cui è da aggiungere il precoce tabagismo che sembra interessare la quasi totalità dei minori intervistati.
Un quadro che deve necessariamente essere tenuto in considerazione in vista di un migliore approccio al problema del loro reinserimento nella società.
AUTORE DELL’ARTICOLO: Dott. Enrico Girmenia, Antropologo, Medico Chirurgo, specialista in Psichiatria. In qualità di ufficiale medico del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana ha partecipato a diverse missioni sia nazionali che internazionali, tra le quali "Operazione Mare Nostrum" per la Marina Militare italiana e "Resolute Support" presso il campo militare italiano di Herat, Afghanistan.
Autore di diversi libri tra i quali: “l’eutanasia nazista”, “essere o apparire”, “il complesso di Abramo”, “l’analisi esistenziale”
Email: egirmen@tin.it
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BIBLIOGRAFIA
ACNUR Alto Commissariato delle nazioni Unite per i rifugiati. “I rifugiati nel mondo” Dipartimento dell’editoria della Presidenza del Consiglio. 1997
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Albanese Giulio. Soldatini di piombo: la questione dei bambini soldato Feltrinelli 2007
DSM IV Criteri diagnostici American Psychiatric Association Masson 1999
Majorino Giorgio Gli effetti psicologici della guerra Saggi Mondatori 1992
Rosen, D.M., Un esercito di bambini. Giovani soldati nei conflitti internazionali,
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UNICEF “La condizione dell’infanzia nel mondo” 1996 Roma Anicia 1996
Wardi Dina. Le “candele della memoria”. I figli dei sopravvissuti dell’Olocausto: traumi, angosce, terapia.
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