HIKIKOMORI: una nuova espressione del disagio giovanile
Intorno agli anni Novanta del secolo scorso è giunta notizia della diffusione in Giappone di una nuova sindrome psichiatrica definita “Hikikomori” e che interessava esclusivamente giovani adolescenti che si chiudevano nella propria abitazione in una sorta di volontario esilio.
Il termine Hikikomori nella lingua giapponese significa "isolarsi", "stare in disparte" e viene utilizzato per riferirsi ad adolescenti che decidono di ritirarsi dalla vita sociale, rinchiudendosi nella propria camera da letto, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno.
Di solito tale periodo di auto-isolamento dura più di sei mesi e può protrarsi per molti anni. E’ un fenomeno che interessa prevalentemente giovani maschi dai 14 ai 20 anni, anche se ormai vendono segnalati giovani adulti che permangono in volontario esilio nella propria casa fino a tarda età.
Tale termine fu coniato dallo psichiatra Tamaki Saito, il primo che si accorse di tale nuova entità nosologica. Al momento attuale tale sindrome ha assunto i connotati di vera epidemia e secondo le ultime stime si contano nel solo Giappone circa due milioni di ragazzi auto-reclusi nel proprio domicilio.
I rapporti con i familiari conviventi sono spesso difficili e molti soggetti Hikikomori limitano le relazioni con il padre e la madre, aspettando che tali congiunti lascino loro il cibo fuori dalla porta della propria camera. Oggi la presenza di tale tipo di sindrome viene segnalata in molti altri paesi e non sembra più appannaggio esclusivo del Sol Levante.
In Italia attualmente si calcola vi siano circa 70.000 ragazzi con le stimmate di tale patologia mentale.
Molti studiosi del settore si sono soffermati nel sottolineare la forte dipendenza da Internet di questi soggetti, anche se le tecnologie informatiche non sembrano essere la causa di tale disagio. L’uso della Rete sembra piuttosto l’unica valvola di comunicazione con il mondo esterno a disposizione di questi giovani, una sorta di residua finestra sul mondo.
"Hikikomori" immagine scaricata da Internet
Ma perché rinchiudersi nella propria stanza? Perché sottrarsi ai contatti umani con i propri coetanei?
La maggior parte degli Hikikomori segnalati nella letteratura internazionale sembrano aver avuto una infanzia “normale”, con promettenti risultati scolastici e famiglie mediamente benestanti e unite. Cosa scatena il rifiuto della realtà in questi adolescenti?
Le risposte a questo decisivo quesito sono molteplici e non sempre esaustive.
Da più parti è stato segnalato come molti giovani Hikikomori siano state vittime di “bullismo”, una pratica molto diffusa in Giappone e nel resto dell’Occidente. Questo tipo di vessazione è frequentemente praticata nell’ambiente scolastico, anche se le autorità preposte non sempre sembrano in grado di fronteggiare in una chiave educativa questo triste fenomeno. La vittima di tale violenza, lì dove no riesce ad opporre una efficace resistenza, va incontro alle più disparate sindromi, dalla depressione al rischio suicidario, stante la profonda ferita che tale quotidiana violenza praticata dai coetanei riesce ad infliggere.
Molto spesso la vittima di ripetuti episodi di bullismo manifesta una profonda sfiducia nei legami interumani e una tendenza all’isolamento e alla rancorosità. Non ha potuto difendersi dalla violenza del gruppo e nessuno è intervenuto in sua difesa. La delusione nei confronti del mondo è totale. Non rimane che la sicurezza della propria stanza. Molti Hikikomori hanno cominciato proprio così. Per altri si possono riconoscere differenti motivazioni, spesso più complesse e sfuggenti ad esame superficiale.
Anche le pressioni dell’ambiente familiare e le eccessive aspettative scolastiche sembrano giocare un ruolo del tutto negativo nel destino di molti giovani. In un ambiente fortemente competitivo, in cui il perdente viene caricato di eccessivi sensi di colpa (per aver fallito le mete che la famiglia si prefiggeva egli dovesse raggiungere), l’unica via di fuga sembra essere la volontaria esclusione attraverso la chiusura di ogni contatto con un mondo così pesante da affrontare.
Molto giovani che soffrono di tale sindrome sono stati brillanti studenti fino al momento in cui non sono stati esclusi, complici i rigorosi sistemi di selezione che le moderne Università adottano oggigiorno, dall’accesso ai livelli di istruzione più elevati. Con immaginabile profonda delusione dei propri familiari. La stesa cosa sembra intervenire in caso di esito negativo nei colloqui di assunzione al lavoro, soprattutto quando sono in gioco le posizioni più remunerative o prestigiose. Questo “perdere la faccia” di fronte al proprio ambiente, questa sensazione di aver deluso chi ha puntato molto su di te, sembra giocare un ruolo decisivo nello sviluppo della sindrome Hikikomori.
Ma altre volte non vi è in ballo solo la competizione sociale. Delusioni e frustrazioni tipiche dell’età giovabile hanno una parte importante nel produrre una volontà di auto-esclusione e la fantasia di sparire definitivamente dalla circolazione.
L’unico strumento di comunicazione utilizzato da questi ragazzi sembrerebbe essere la rete internet.
E, paradossalmente, l’unico sistema per venire in contatto con questi giovani sembra essere proprio la Rete. Grazie ad Internet, infatti, si sono creati gruppi di aiuto che tentano di mettersi in relazione ( anche se inizialmente solo in forma virtuale) e dialogare con questi moderni eremiti.
Dopo essersi creato un’identità virtuale, infatti, il giovane hikikomori inizia a chattare e a crearsi una rete di amicizie online. Il rifiuto del contatto interumano giunge al suo limite estremo quando l’hikikomori si fa lasciare il cibo quotidiano sulla soglia della propria camera e rifiuta l’incontro, anche se fugace, con i propri genitori. La realtà virtuale assorbe completamente la vita del giovane hikikomori e non lascia spazio alcuno alla realtà delle relazioni umane. In molti paesi del moderno Occidente si è creata una comunità di persone che interagiscono esclusivamente mediante la realtà virtuale e che sono completamente sganciate dal reale.
Resta da chiedersi cosà succederà quando i giovani hikikomori diventeranno più vecchi e dovranno inevitabilmente misurarsi con la dura realtà della morte dei propri genitori e con la fine del benessere che consente il loro attuale mantenimento. Quale sarà il loro futuro? Saremo in grado di farci carico della loro sofferenza, di interpretarla e di venire loro incontro per ripristinare il dialogo interumano?
AUTORE DELL’ARTICOLO: Dott. Enrico Girmenia, Antropologo, Medico Chirurgo, specialista in Psichiatria. In qualità di ufficiale medico del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana ha partecipato a diverse missioni sia nazionali che internazionali, tra le quali "Operazione Mare Nostrum" per la Marina Militare italiana e "Resolute Support" presso il campo militare italiano di Herat, Afghanistan.
Autore di diversi libri tra i quali: “l’eutanasia nazista”, “essere o apparire”, “il complesso di Abramo”, “l’analisi esistenziale”
Email: egirmen@tin.it