LA SOLITUDINE: quando un sentimento umano fa ammalare.
Nella lingua inglese il termine solitudine ha una grande versatilità. Per solitude si intende una condizione di isolamento cercato proprio per valorizzare alcuni aspetti della propria ricerca interiore.
Immaginiamo la solitudine del poeta o del letterato in genere, una sorta di distacco dal frastuono della società necessario per “sentire” meglio il proprio animo e le sue risonanze intime. Dunque una solitudine creativa e messa a disposizione della propria produzione artistica. Chi esperisce la solitude, anche se fisicamente è solo, non si sente abbandonato. Anzi, forse tutti noi, travolti dal frastuono del mondo moderno, avremmo bisogno di un periodo di solitude, in modo da poter ascoltare meglio la profondità che merge nel silenzio.
Ma nella lingua inglese è presente anche il corrispettivo negativo della solitude, la vera e dolorosa solitude del vecchio abbandonato o del solitario malato terminale allettato in qualche anonima corsia d’ospedale.
Questa condizione è definita con il termine loneliness, una situazione che genera sofferenza e offre la dolorosa percezione dell’abbandono e dell’isolamento. Questa è la vera solitudine, una condizione tragicamente attuale e che imperversa crudelmente nel mondo moderno, soprattutto nella sua parte più sviluppata.
Pensiamo a questi giorni di festa, quando tutto sembra gioia e felicità, e a come vivono le tantissime persone che sono costrette alla solitudine a causa della rottura dei legami familiari, o a causa della povertà e dell’emarginazione sociale. Ma, come vedremo in questo breve articolo, ci sono tanti tipi di solitudine, il cui denominatore comune, però, è quello di far ammalare la persona, di indebolirne la capacità di resistere agli eventi avversi della vita e di annullare i tanti vantaggi che il mondo moderno ha portato sul piano della salute. Una tragica beffa.
Dopo aver combattuto tanto per allungare la vita media, scopriamo che non sappiamo cosa fare dei tanti anziani che riempiono sempre più i nostri nosocomi e le case di riposo.
Ma andiamo per gradi.
Se scorriamo Pub Med, il più grande motore di ricerca nel campo clinico, ci accorgiamo come la totalità degli articoli riguardanti la condizione psichica di chi è costretto alla solitudine, rimarchi come essa sia associata sempre ad una minore salute fisica e mentale. [1]
Numerosi altri Autori si sono spinti a definire la solitudine come “Killer nascosto” degli anziani. [2]
Alla solitudine si imputa l’alto numero di suicidi tra gli anziani e i meno anziani, così come il progressivo decadimento del sistema immunitario e cardiovascolare. E’ probabile che tutto ciò intervenga attraverso progressive alterazioni immunologiche e neuroendocrine che sono rinforzate dalla scarsa propensione alla cura di sé e alla trascuratezza per le terapie, tutte cose che conseguono ad una condizione di abbandono e solitudine. Sappiamo come l’assenza del coniuge, la dimora in anonime case di riposo, e la scarsa stimolazione che ne deriva, portano ad un peggioramento dello stato di salute della persona. [3] [4] [5]
La solitudine, in sostanza, comincia ad essere considerata alla strega di un fattore di rischio[6] [7].
Oggi, soprattutto nell’Occidente avanzato, l’isolamento estremo ha assunto una valenza non solo sociale, ma è diventata una condizione emergenziale che si riattiva in particolari periodi o situazioni, soprattutto durante le festività o quando qualche fatto di cronaca ci risveglia dal nostro torpore e ci ricorda, con il suicidio di qualche anziano, che la nostra vita scorre tra indifferenza e voglia di non vedere il dolore altrui. E questo avviene proprio oggi, quando il “leit motiv” della moderna società dei consumi è tutta protesa a rimuovere il tabù della morte e della malattia e viene decantata una vita fatta di salute eterna, bellezza e successo. Tutti magri, eternamente giovani e sorridenti. Questo il messaggio che le star della televisione ci propongono a ritmo serrato tutte le ore del giorno.
Sempre secondo Pub Med, la solitudine colpisce maggiormente gli anziani oltre i sessanta anni[8], le persone che hanno perso di recente il proprio coniuge[9][10][11][12], , le persone che vivono sole[13] [14] [15] [16] [17] [18] [19]( anche se non sempre i solitari soffrono di solitudine!) le donne[20] [21] e coloro i quali si trovano in una condizione di grande disagio economico e sociale.
Tutte le persone sole si sentono più deboli, con minore autostima, più indifese e vulnerabili. Tutte condizioni che comportano una forte depressione e sentimenti di sofferenza e ansia. E noi medici sappiamo come la vita in condizione di forte isolamento comporti, oltre che un declino del benessere generale, una ideazione suicidaria, una forte depressione, disturbi del sonno, una perdita dell’appetito e un consumo eccessivo di alcool e psicofarmaci[22]. Anche sul piano dell’efficienza motoria e dello sviluppo della demenza la solitudine fa sentire i suoi effetti, così come confermato da numerosi studi[23] [24] [25] [26] [27].
Ma la solitudine è curabile? E’ qualcosa di affrontabile dai moderni sistemi di intervento psico-sociale? Diverse ricerche sembrano rispondere di sì, che cioè la solitudine non necessariamente è una condizione inevitabile e senza prospettive.
Vi sono molte strategie utili per ottenere un certo grado di successo nella lotta all’isolamento sociale. Uno dei primi consigli è quello di mantenere vive le interazioni attorno alla persona. Interazioni che nascono dal coinvolgimento in molte attività che abbiano uno sfondo di sostegno per altri e che alzino il livello di resilienza della persona interessata.
Anche la gestione degli eventi di malattia e del lutto sembrano giocare un ruolo importante, al pari del sostegno che il medico deve saper offrire, sia sul versante dell’attenuazione dei sintomi dolorosi sia sul piano della presenza e della disponibilità umana.
Qualche anno fa, Madre Teresa di Calcutta affermò, molto saggiamente, che “oggi la più grande malattia dell’Occidente non è la tubercolosi o la lebbra, ma il fatto di sentirsi non amato e curato. Possiamo curare le malattie con la medicina moderna, ma l’unica cura per la solitudine e la disperazione è di prenderci cura degli altri… “. E sembra che la grande santa dell’India avesse molto chiaro il tragico destino del ricco Occidente, ridondante di beni materiali, ma così privo di quella calda umanità che deve rischiarare il percorso di ognuno di noi.
AUTORE DELL’ARTICOLO: Dott. Enrico Girmenia, Antropologo, Medico Chirurgo, specialista in Psichiatria. In qualità di ufficiale medico del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana ha partecipato a diverse missioni sia nazionali che internazionali, tra le quali "Operazione Mare Nostrum" per la Marina Militare italiana e "Resolute Support" presso il campo militare italiano di Herat, Afghanistan.
Autore di diversi libri tra i quali: “l’eutanasia nazista”, “essere o apparire”, “il complesso di Abramo”, “l’analisi esistenziale”
Email: egirmen@tin.it
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BIBLIOGRAFIA
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